Nello sport, così come nella vita, non sempre comprenderemo tutto quello che prova o pensa nostro figlio, e a volte dovremo tranquillizzarlo a lungo prima che si senta davvero sereno, ma è dedicandovi a lui con amore e attenzione che contribuirete a gettare le fondamenta della sua persona. Se prenderete sul serio i suoi sentimenti, se non li sminuirete e se tenterete di capire realmente quello che sta provando, dandogli valore, il bambino imparerà che si può star male per qualcosa, ma che c'è anche la possibilità di star meglio, specialmente quando si condividono le proprie sensazioni con qualcuno aperto e disposto ad accoglierle (Perry, 2019).
Ad esempio, vostro figlio di dieci anni vi potrebbe dire: “Non voglio andare a preparazione atletica”. La risposta “Devi andarci e basta” può sorgere spontanea quando avete fretta e siete preoccupati per tutti gli impegni della giornata. Ma con un bambino sarebbe più utile dire: “La preparazione atletica proprio non ti piace, vero?” oppure “Come mai non vuoi andare? C’è qualcosa che non ti piace?”. Questa domanda stimola l’apertura sia del dialogo sia del bambino, invece di chiuderli.
Ignorare o negare i sentimenti di un bambino non fa risparmiare tempo ed è potenzialmente dannoso per la sua futura salute mentale. Tuttavia, alcuni genitori, non si rendono conto di farlo, o magari si comportano così perché pensano che sia la strada migliore da percorrere o addirittura l’unica. Infatti, minimizzare, dare consigli o distrarre il proprio figlio dai propri sentimenti “negativi” sembra la scelta più sensata, soprattutto quando ci sembra che, dandogli attenzione, incoraggiamo in qualche modo quei suoi sentimenti; ma se il bambino si rende conto di essere considerato e compreso, ha un motivo in meno per protestare e piangere. Infatti, quelle emozioni non scompaiono, cadono semplicemente nel dimenticatoio e, con il tempo, sono destinati a creare guai più avanti e più grandi.
Provate a pensarci: quando avete bisogno di gridare più forte? Quando non venite ascoltati. I sentimenti hanno bisogno di essere ascoltati e i genitori nello sport hanno bisogno di strumenti adatti per poterlo fare.
Ci sono 3 modi principali per reagire ai sentimenti del proprio figlio, e sappiate che il vostro è spesso simile al genere di reazione che avete di fronte alle vostre stesse emozioni e a quelle che hanno avuto i vostri genitori. Può anche darsi che li adottiate tutti e tre, a seconda del sentimento o della situazione:
Reprimere: allontanate le sensazioni forti zittendole quando siete costretti ad affrontarle, per esempio dicendovi: “Non farne un dramma, non è importante”, o ancora “Devi essere coraggiosa/o”. Se liquidate una sensazione del bambino come insignificante, è meno probabile che lui condivida con voi le sue emozioni future, indipendentemente da quanto le considererete importanti. Inoltre, dire a un bambino che è sciocco riguardo a qualsiasi cosa chiude i canali di comunicazione tra voi, e potrebbe rivelarsi pericoloso, perché voi volete essere la persona con cui vostro figlio può parlare di ogni cosa;
Reagire in modo eccessivo: all'estremo opposto, potrete nutrire sentimenti così forti per il bambino da diventare isterici come lui o piangere insieme a lui, come se quel dolore fosse più vostro che suo. È un errore che si commette piuttosto facilmente, per esempio quando si è stanchi e poco lucidi per analizzare la situazione, come ad esempio prima, durante o dopo una gara importante. Se è questo il modo di affrontare le sensazioni di vostro figlio, è poco probabile che lui abbia voglia di condividere con voi ciò che prova. Forse penserà che per voi sia troppo, oppure si sentirà invaso e assimilato alle vostre emozioni. Se vi lasciate prendere dal nervosismo e non riuscite ad arginare le vostre emozioni, figuriamoci le sue;
Contenere: sapete riconoscere e confermare tutti i vostri sentimenti…e i suoi! Infatti, se riuscite per voi stessi, troverete naturale farlo anche per vostro figlio. Potete prendere sul serio un sentimento senza reagire in modo sproporzionato e senza rinunciare a essere misurati e ottimisti. Se un bambino sa che vi accorgete di lui e che non intendete giudicarlo, ma solo tranquillizzarlo, è più probabile che vi racconti quello che gli passa per la testa. Riuscire a essere un contenitore vuol dire, ad esempio, osservare la collera in un bambino, comprendere perché è arrabbiato e magari tradurlo in parole per lui, trovandogli anche un modo accettabile di esprimere la sua rabbia, senza mostrarsi ne punitivi né sopraffatti. E questo vale anche per le altre emozioni. Stare bene con le proprie emozioni, per quanto intense, è il segreto per riuscire a contenere quelle del bambino e a tranquillizzarlo.
Nel suo libro, la collega Philippa Perry, sostiene, che le diverse emozioni si gestiscono meglio o peggio a seconda delle proprie esperienze infantili. Se siete cresciuti in una famiglia i cui membri comunicano tra loro in maniera conflittuale, forse vi siete assuefatti a toni di voce elevati e magari anche alle sceneggiate; anzi, può anche darsi che li associate all’idea di affetto. Se invece provenite da una famiglia che evita qualsiasi confronto, potreste sentirvi profondamente a disagio davanti alla collera. Se vi siete sentiti manipolati durante la crescita, forse diffidate o non apprezzate il calore e l'affetto perché vi aspettate che siano accompagnati da richieste o qualcosa di sgradevole.
Ricordate: tutti i genitori fanno errori, ma correggerli conta più degli errori stessi. Quando rimproveriamo i bambini perché si sentono male, diamo loro due motivi per piangere: da una parte, l’evento per il quale inizialmente si sono rattristati e, dall’altra, la spiacevole sensazione che deriva dal non sentirsi compresi vedendo il genitore arrabbiato. Incoraggiateli a rappresentare con il disegno o a raccontare come si sentono e poi accettatelo. È fondamentale mostrare loro quanto sono importanti per voi le loro sensazioni, qualunque esse siano.
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